“Ma che davvero ti trasferisci in un borgo e abbandoni la città?!”. No, miei giovani lettori che credono un po’ a tutto, non mi trasferisco in un borgo, perlomeno non ancora.
Questo titolo acchiappa un po’ di click serve a presentarvi la nuova rubrica #PuntiDiVita e nasce in collaborazione con uno degli intervistati di PopularTalks!
Con SaltoMentale abbiamo deciso di far tornare internet a quello splendido mondo che era 15 anni fa: un mondo di condivisione, discussione e scoperta.
Abbiamo quindi ideato questa rubrica molto old school: ci manderemo delle lettere virtuali affrontando ogni volta un tema diverso, confrontandoci e esprimendo le nostre idee sulla questione. Sicuramente qualcosa di più largo rispetto agli altri articoli.
Sento molto mio questo progetto e spero piaccia anche a voi. Se avete un blog e volete partecipare siete liberi di farlo, se non l’avete commentate e diteci la vostra!
Partiamo!

Ti dirò la verità amico mio, é il mio sogno.
Penso spesso ad abbandonare la città e a pensare di costruirmi una nuova realtà in un altro posto, con nuovi sistemi e nuove modalità. A volte fantastico per ore su dove andare, quali sia la zona migliore, come organizzare tutto. Da buon malato faccio anche i budget e i mezzi per attuare i miei progetti.
E ti dirò, non è una cosa a cui penso dal Covid. E’ una cosa su cui penso da anni, almeno dal 2016.
Mi ricordo che stavo in ufficio e nei momenti di buco raccontavo questa mia idea (dopo ti parlerò meglio di quale fosse) che finiva sempre con una risata crosciante e un “tu sei matto”.
Ad aprile 2020 mi hanno richiamato tutti, alcuni mi hanno addirittura chiesto se avessi trovato il borgo adatto.
E’ il momento di valutare seriamente questo tema perché la situazione post pandemica permette davvero di fare una scelta di vita di questo tipo.
UNA VALUTAZIONE SULLA CITTÀ
Partiamo da un principio: io ho sempre vissuto in città.
E non in una città, nella CITTÀ. Tanto che in passato la chiamavano solo Urbis.
Roma mi ha modellato, mi ha stimolato, mi ha reso parte di una piccola sindrome di Stoccolma. E poi ho vissuto a Milano, insomma non a Canicattì.

Non sono quindi uno che capisce quali siano le reali difficoltà della vita di provincia, come te che ci sei nato e cresciuto. Io conosco semplicemente la città e la sua vita. La provincia o ancora un piccolo borgo è un mondo oscuro che vedo solo con gli occhi di un vacanziero.
La città é stimolante, piena di cose da fare (potenzialmente), piena di persone, idee, occasioni. É bellissima…a 20 anni.
Ora che sono più grande ho realizzato un po’ delle mie esigenze.
E mi sono reso conto che detesto la folla, sento proprio un peso tremendo nel stare con troppa gente per lungo tempo. Alcune volte è quasi un ostacolo alla mia vita lavorativa ma stringo i denti.
Insomma ho bisogno di spazi miei, di silenzio, di aria buona, di avere meno stress economico.
Ti parlavo di sindrome di Stoccolma perché la città ti mette di fronte a tantissime scelte, ma in realtà quelle sono scelte potenziali a cui, al 95% delle volte, non puoi accedere. Non puoi accedere per mancanza di tempo, di relazioni e soprattutto di denaro.
Ti trovi in un meccanismo contorto in cui potresti fare tutto ma nella realtà puoi fare pochissimo. La cosa peggiore è che ti senti COLPEVOLE di non poterle fare, manco fosse demerito tuo.
Roma inoltre ha una piccola particolarità che solo pochi altri cittadini del mondo possono comprendere: ha già dato il massimo.
Metti che emergi in Roma, metti che diventi un cittadino illustre e tutti i romani ti elogiano per il tuo operato… Cosa puoi fare più dei Fori o del Colosseo? Al massimo avrai una via col tuo nome dove poi cominceranno a battere trans.
Sembra una delle mie solite battute vero? Ecco, non conosci Via Palmiro Togliatti.
Insomma queste e molte altre sono le ragioni per cui penso davvero di andare in provincia.
VIVERE IN UN BORGO MA COME VOGLIO IO
Lo sai ma te lo ripeto: sono un megalomane.
D’altronde penso sia un caratteristica del mio segno zodiacale (il cancro), segno di Giulio Cesare, Garibaldi, Elon Musk, Rockfeller, Fangio, Tesla, alcuni addirittura dicono di Alessandro Magno.
Insomma ‘na banda di matti con un mitismo senza pari ma a cui credo di assomigliare un po’.
La mia idea infatti non è solo quella di andare a vivere in provincia oppure di rimettere apposto una piccola casa in uno dei tanti meravigliosi borghi italiani ma quello di trovare un borgo e…

Si avrei voglia di trovare un borgo abbandonato, ricostruirlo, abitarlo e farlo rinascere.
Ci ho ragionato molto sulla cosa e ho analizzato 3 punti che sembrano sempre un ostacolo a questa decisione.
1 – IL LAVORO
Vivere in un borgo pre-covid portava a 3 scelte lavorative
- Lavorare in un’azienda del luogo (con tutti i rischi connessi)
- Vivere di rendita
- Diventare campione di bestemmie facendo il pendolare
Incredibilmente il covid ha cambiato le carte in tavola e, anche se dobbiamo vederne realmente gli effetti, ha reso il lavoro in smart working da casa una vera e propria possibilità.
Per farti capire sulla riforma del lavoro in smartworking una delle carte in tavola è la detassazione (azienda e dipendente) per chi decide di lavorare in paesi sotto i 5000 abitanti.
Insomma al netto di lavori manuali o con presenza fisica lo smartworking può essere fatto da chiunque. Se i miei lettori maledetti mi dessero più soldi con Amazon Affiliate avrei già risolto questo problema, ma niente, son taccagni peggio di me.
I guadagni dal lavoro possono essere accresciuti grazie alla marea di soldi risparmiati sul costo della vita e a una serie di progetti accessori che si possono sviluppare nel borgo.
Personalmente ne ho mille: fare un documentario, turismo diffuso, ristoranti sperimentali, progetti turistici (come una tappa nelle vie del ciclismo) o addirittura un borgo a tema street art!
Aho, se vi vedo che mi copiate vi sfondo e vi distruggo il borgo a cappellate.
2 – IL PROBLEMA DELLA COMPAGNIA
Uno non se ne va dalla zona in cui vive sostanzialmente perché non ha accanto la famiglia o gli amici e quindi si deve ricostruire una vita. La soluzione è semplice: importare gli amici.
Son pazzo? Ti ricordo che che nel 2016 era la risposta che mi davano tutti, l’anno scorso mi hanno chiesto come procedeva il mio piano, quindi o ho una marea di amici pazzi (probabile) oppure non è un’idea così folle.
Pensa che cose simili alle mie le dice anche l’archistar Stefano Boeri che in piena pandemia ha sviluppato un pensiero che condivido in pieno (sintetizzandolo):
Lo stato italiano non deve pensare a costruire (anzi deve abbattere) nuovi
immobili ma far rivivere i vecchi borghi importando energie fresche
(cioè i giovani).
Per Boeri lo stato dovrebbe regalare queste case ai giovani, dargli gli strumenti per sistemarli e creare infrastrutture base nelle vicinanze (stazione del treno, autostrada, ospedale e scuole).
Boeri rimarrà inascoltato ma la sua teoria è affascinante. Alcuni imprenditori, tipo Cucinelli, hanno fatto esattamente lo stesso con le loro aziende:
E allora perché non può fare la stessa cosa un gruppo di amici con buone idee, un modesto capitale e la scelta del giusto posto? Lo stanno facendo tanti stranieri, basta pensare al successo internazionale riscosso dalle case a 1 euro.
3 – IL COSTO DEGLI IMMOBILI
Il valore degli appartamenti e persino di un palazzetto in queste in un borgo é pari a zero, quanti soldi spendi per una casa in città? Vale la pena lavorare tanti anni in più per un posto che ti obbliga a lavorare per un oggetto?
Quelle case sono un peso per gli eredi, te le regalerebbero! Sicuramente l’impegno sarà quello di rimetterli a posto ma i vari superbonus, sisma bonus e credito di imposta ci vengono incontro.
E inoltre viviamo in un secolo in cui la tecnologia ci viene incontro: con un antenna 4g, pannelli solari e una buona strada puoi avere accesso a tutto.
Vorrei fare un piccolo inciso sulla gestione: chiaramente verrebbe governato in una comune sotto la mia illustre guida che si ispira al governo illuminato di Federico il Grande. Invece di sindaco però, preferirei farmi chiamare Autokrator.

I PROBLEMI VERI DELLA FUGA IN UN BORGO
Ahó, che sia chiaro. Non sono pazzo completamente.
So benissimo che si tratta di fantasia e sono conscio dei mille problemi per avviare un qualcosa di simile. Sono preoccupato soprattutto di due cose!
BIAS COGNITIVO
Essendo stato, da sempre, un abitante di città ho una visione della provincia fittizia.
Sembra un po’ il mito del buon selvaggio di Rousseau. Nella visione romantica il filosofo francese contrappone, ai suoi concittadini europei avidi e corrotti, il selvaggio. Un uomo non influenzato da religione, leggi e cultura che vive nell’onestà, bontà e felicità.
Chiaramente è una cazzata: gli esseri umani sono sempre delle merde, ovunque nascano. Ma il paragone è simile: come Rousseau io idealizzo una cosa che non conosco.
EDUCAZIONE DEI FIGLI
Questa è la cosa che più mi preoccupa. E questo per diversi motivi, forse un po’ classisti ma reali.
Se vuoi accedere a determinati ambienti e avere successo (che poi è da valutare cosa sia: autorealizzazione personale o accettazione sociale?) la vita di provincia ti taglia un po’ le gambe.
In genere accedi a scuole peggiori, ad un certo punto della vita esci di casa (che non è male, ma costa) spesso sei meno stimolato mentalmente a causa di un ambiente poco aperto.
Se avessi un figlio “diverso” come mi sono sentito io da piccolo credo che la sua sofferenza in un borgo sarebbe stata maggiore.
Anche solo la pronuncia, i modi di fare paesanotti, persino il come ci si pone in certe ambienti ti fanno riconoscere subito. Certi ambienti, e te lo dico perché li ho vissuti, riconoscono dopo mezzo sguardo da dove provieni. E allora si fa più dura.
Non avendo ancora figli però potrei fottermene.

Eh si son questi i problemi, finiti.
Lo so che stai pensando: “ma sono solo questi i veri problemi secondo te? Ma sei scemo?!”.
E hai ragione perché potresti dirmi che sono obiettivi di difficilissima realizzazione, che ci sono enormi costi di fallimento, dovrò affrontare una terribile burocrazia, che sarà difficilissimo gestire un gruppo piccolo o ancora potresti parlarmi dell’impegno immenso nel fare tutto nel creare qualcosa di simile.
Sai cosa ti dico? Questi sono pregi.
Uno pensa che la vita di paese sia monotona, in questo modo ribalti il mondo perchè hai un sacco da ricostruire, pensare e organizzare
E poi sai che c’è? Quello che manca alla nostra generazione è quello di poter affrontare una sfida.
Personalmente preferisco il rischio di perdere, ma rischiare, che accettare supinamente il mio destino sociale.
Certo la mia idea é sicuramente estrema e fare un passetto alla volta forse sarebbe meno traumatico. Magari sarebbe anche meglio evitare sogni separatisti e imperialisti, ma se uno deve ambire è meglio farlo in grande, no?
CONCLUSIONE SU ANDARE A VIVERE IN UN BORGO
Spero che questa nuova rubrica vi piaccia, che i 10 minuti di lettura non vi abbiamo frantumato la minchia e vi abbiano fatto pensare. Se non siete d’accordo o volete contribuire al progetto scrivete nei commenti.
Ah! Salto Mentale ha risposto ai miei vagheggiamenti, leggete cosa ne pensa lui del tema altrimenti leggetevi qualche altro episodio della rubrica come l’analisi sui Millennial!
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FONTE IMMAGINE: WIKIMEDIA
A quanto mi riguarda le piccole cittadine portano a questo: moglie straniera, ti cacciamo via! non hai niente da raccontare nel posto di lavoro!
Quindi ricordati di passarci del tempo e parlare con le persone prima di trovarti a essere rispettabile solo se hai 8 filgli fatti a 20 anni e se sono bianchi candidi.
Non volevo essere così drastico, facciamola semplice perchè se sei simile a loro nella pelle e nei capelli non te ne accorgi fino a quando non è troppo tardi, appena vai nel borgo chiedigli di fare qualcosa con te, se non è nel borgo non la faranno mai, è lontano o altre scuse.
Poi la loro vita gira intorno a fare impressione alle 20 persone che conoscono nel borgo, come nei film americani dove tutta la vita gira intorno alla cena di classe dove portare la finta moglie e far finta di essere ricchi. Scusa il contributo triste, appena individui il borgo chiedi a chi è in loco di fare esperienze con te e valuta in base alle risposte, giudica le macchine prese con rate non sostenibili e guarda intorno
Hai ragionissima e grazie della tua testimonianza, effettivamente l’eccessiva provincialità (che sfocia come fai notare nel razzismo) é una delle mie maggiori preoccupazioni. Non che Roma o Milano siano città come Parigi o Londra ma il distacco é forte e in una logica di vita o educqzuine dei figli può essere castrante.
Bisogna fare, purtroppo sempre dei Trade off… L’opzione perfetta non esiste!
Comunque la mia idea sarebbe di importarmi gli amici, per quanto siano scalcagnati almeno li conosco 😬
Io sono nato e cresciuto in paese, sentendomelo stretto.
Ho girato il mondo, visto e vissuto le grandi metropoli. E m’hanno blandamente rotto il cazzo.
Quando ho conosciuto la mia attuale moglie ci siamo cercati e trovati un paesello tranquillo che confina con la città (di medio/grandi dimensioni, in lombardia), c’ho comprato una casa, ho tutti i servizi indispensabili raggiungibili a piedi/auto, lavoro in città e ci vado in bicicletta.
La qualità della vita è oggettivamente ad un livello impagabile ora come ora.
Sono d’accordissimo e ti ringrazio di aver condiviso la tua esperienza. Io sto facendo un percorso mentale simile nonostante sia nato in città, credo che una vita più serena (quella alla comune medievale) sia più giusta per noi esseri umani sotto tanti aspetti. Sinceramente spero di testarla davvero e vedere, all’atto pratico, come è!
Cafone, nel suo significato originale sta per contadino. Finanza Cafona è quindi Finanza per contadini, che ovviamente vivono in campagna. Se ti sposti in campagna, si chiude un cerchio!
Cazzo sono il pastorizia never dies della finanza. Ma porca mig************** (è composta)
Ottima sintesi! Quanto sarebbe bello svegliarsi ogni mattina in un borgo medievale (o rinascimentale)? Immagina di svegliarti a Spello, San Gimignano, Asolo… Sì ok, ma poi?
È un po’ come il famoso “ritorno alla campagna” tanto paventato durante la pandemia.
Io ho vissuto sia in periferia di città, sia in cittadine, sia in città (medie e grandi), e ora in campagna. Ogni posto ha i suoi pregi e difetti, basta non avere la presunzione (e per taluni, l’arroganza) di andare in un posto e pensare di ritrovare gli elementi degli altri.
“Come sarebbe a dire che ora che sono in campagna devo tenere chiuse le finestre altrimenti entra puzza di merda?”
“Come sarebbe a dire che ora che sono in città non riesco più a vedere le stelle?”
Ecco.
Assolutamente d’accordo ed é un po’ quello che ho lasciato intendere con la prefazione alla città e con il bias cognitivo, bisogna aver ben chiari che la coperta é corta ovunque si vada. Secondo me il borgo, nella maniera illusoria che ho descritto, é ottimo se si riempie la giornata in altre maniere, se si vive passivamente é una tomba!
Secondo me tutto il tuo ragionamento non fa una piega. Un mio caro amico da un anno ha lasciato Roma per Assisi (non proprio un borgo) e per il momento è molto contento. Ora gli mando l’articolo cosí ti fotte un po’ d’idee 😀
(nel titolo “Bias cognitivo” c’è un refuso)
E’ un cesaro papista il tuo amico? 😀
Io sono mezzo umbro e il territorio mi attira molto. Umbria e Marche avrebbero grande potenziale (anche se mi piace molto anche Rieti). Anni fa pensai di fare un borgo della street art in cui un vecchio borgo veniva reso un monumento di street a cielo aperto… ce ne stanno 10 oggi, tacci loro!
Grazie per il refuso!